La cristallizzazione del miele

di Mauro Puppo

La cristallizzazione, assieme al colore, è una delle caratteristiche maggiormente visibile nel miele, questo condiziona, anche se in maniera sempre minore, molti consumatori ed il mercato del miele.
Tutti i mieli sono più o meno destinati a cristallizzare (eccetto acacia, castagno e melata, se in purezza). Una cristallizzazione dunque naturale che se non accompagnata da difetti del miele, quali separazione fra stato liquido e solido, che alcune volte si vede sugli scaffali dei supermercati, fermentazione o presenza di impurità, è la prova della sua genuinità, naturalezza e autenticità e dell’assenza di trattamenti volti a riportare il miele allo stato liquido.

Il processo di cristallizzazione
Quasi tutti i mieli sono liquidi al momento dell’estrazione, fatta eccezione per alcuni mieli, per esempio l’edera, che inizia a cristallizzare già sui favi e risulta di difficile estrazione, dunque liquido che poi, nella maggior parte dei casi, in un tempo variabile da poche settimane ad alcuni mesi, va incontro al processo naturale della cristallizzazione.
Un processo che non comporta variazioni nel prodotto se non nell’ aspetto, che si sviluppa in modo variabile a seconda della composizione, e quindi dell’origine botanica, della temperatura di conservazione e di altri fattori di tipo meccanico e fisico.
Una volta cristallizzato il miele si presenta con caratteristiche diverse a seconda di come si sono combinati tali fattori. Esistono per questo mieli con aspetto più o meno omogeneo, a cristalli grossolani o finissimi, a consistenza compatta o cremosa.
Queste diversità possono segnalare l’origine e la storia del prodotto, ma non possono, data la complessità del fenomeno, essere prese come riferimento assoluto per identificare la genuinità o meno del miele.

Perché il miele cristallizza?
Quali sono i fattori che innescano il processo di cristallizzazione?
Primo fra tutti il rapporto tra glucosio e fruttosio.

Regola fondamentale: maggiore il contenuto di glucosio, maggiore la tendenza a cristallizzare.

Come sappiamo il miele ricavato dal nettare dei fiori è costituito da circa un 18% di acqua in cui sono disciolti il 70% circa di zuccheri monosaccaridi (fruttosio e glucosio) in percentuali variabili.
Il miele è quindi una soluzione sovrassatura di zuccheri, ossia una soluzione in cui la concentrazione del soluto (zuccheri) supera quella che il solvente (acqua) può contenere alle condizioni di equilibrio e che come tale è instabile e tende con il tempo a raggiungere la stabilità liberando il soluto in eccesso sotto forma di cristalli. Essendo il glucosio meno solubile in acqua del fruttosio è quindi lo zucchero maggiormente interessato al processo di cristallizzazione.
Mentre il contenuto di glucosio influenza la tendenza a cristallizzare, il rapporto fra fruttosio e glucosio influenza la velocità di cristallizzazione.
Se il fruttosio predomina sul glucosio il miele tenderà a rallentare il processo di cristallizzazione restando a liquido più a lungo.
Mieli con elevate percentuali di fruttosio cristallizzano lentamente o non cristallizzano affatto come ad esempio accade per il miele di Robinia (Acacia) o di castagno. Al contrario, mieli nei quali la percentuale di glucosio è più alta, quali agrumi, tarassaco, girasole, erica e millefiori, avranno rapidi fenomeni di cristallizzazione.
Altro fattore influenzante è il contenuto di acqua, un miele in condizioni ottimali dovrebbe avere un umidità compresa tra 17-19%, umidità inferiori portano alla cristallizzazione in combinazione con temperature attorno ai 14° C, umidità superiori ad una possibile fermentazione.
Altro fattore importante è la temperatura: a 14 gradi la formazione dei cristalli è massima, sopra a 25 e sotto a 5 gradi è inibita.

Non è quindi da trascurare l’influenza fondamentale che la temperatura ha sulla cristallizzazione. La cristallizzazione può avvenire a temperature comprese fra i 5 ed i 25 °C con un massimo di velocità attorno ai 14 °C. Le basse temperature ostacolano la cristallizzazione perché aumentano la viscosità del miele, rendono più difficili i movimenti all’interno della massa e rallentano i processi chimici di accrescimento dei cristalli.
Dunque, uno stesso miele, conservato a temperature diverse può avere una cristallizzazione diversa.
Temperature troppo elevate invece rallentano il processo in quanto vengono distrutti i cristalli. Tale distruzione è completa alla temperatura di 78 °C, ma già ad una temperatura superiore ai 45° C perderà anche preziosi micronutrienti (maggiori perdite si avranno per temperature più alte e maggiori tempi di riscaldamento).
Altri fattori che favoriscono la cristallizzazione sono l’agitazione del miele e il contenuto di particelle solide in sospensione.

Nella tabella sottostante alcuni tipi di cristallizzazione dei comuni mieli:

Metodi per mantenere liquido il miele.
Come abbiamo detto la cristallizzazione non è un fenomeno negativo ma rappresenta una evoluzione naturale di quasi tutti i mieli.
Ma allora perché il miele che troviamo in commercio è quasi sempre liquido?
La risposta a questa domanda è molto semplice: perché siamo noi consumatori a chiederlo…
Di conseguenza alcuni produttori al solo scopo di “accontentare” il consumatore sostengono che il miele sia sempre liquido, un po’ come lo “accontentano” proponendo prodotti fuori stagione, quali la frutta e le verdure. Ricorrono quindi a processi industriali per mantenere il prodotto in tale stato.
Per mantenere il miele allo stato liquido si può agire in tre modi, che contrastano comunque con la filosofia del prodotto naturale.

Fusione a 40-50 gradi prima della vendita: di solito avviene direttamente nel miele confezionato, consente di mantenere il miele liquido più o meno a lungo a seconda della quantità di glucosio e di acqua del miele stesso.
Pastorizzazione: il miele viene portato a 78 gradi per 5-7 minuti, in questo modo si sciolgono anche le particelle più piccole di glucosio e il miele rimane liquido per lunghissimo tempo.
Filtrazione spinta: conferisce al miele una maggior limpidezza ed elimina le micro particelle che potrebbero innescare la formazione dei cristalli. Tale modalità viene abitualmente utilizzata negli Stati Uniti mentre in Europa era vietata fino all’uscita della direttiva 2001/110/CE. Ora è consentita anche se va chiaramente riportato in etichetta l’utilizzo di questa tecnologia. Tale processo permette anche di omogeneizzare il miele, i cristalli grossi, vengono rotti per azione meccanica e il miele diventa più cremoso.
Fusione e pastorizzazione non hanno alcuno scopo igienico-sanitario e danneggiano irreparabilmente il prodotto, distruggendone la carica enzimatica e vitaminica a discapito della naturalezza e della qualità del prodotto.

Miele liquido e miele cristallizzato.

Che differenze ci sono? Meglio il miele liquido o quello cristallizzato?
La scelta tra liquido e cristallizzato è una questione di preferenze personali; se però si vogliono privilegiare i prodotti più integri bisogna considerare che ogni riscaldamento subito è un danno per la qualità del prodotto.
Per la loro composizione come detto, solo i mieli di acacia, castagno e di miele di bosco o abete (melate) rimangono sempre liquidi, mentre con il passare del tempo, invece, tutti gli altri tipi di miele tendono a cristallizzare.

Consigli: cosa fare quando il miele si presenta cristallizzato?
Il primo consiglio che possiamo darvi è quello di consumarlo così ma se vogliamo per forza renderlo liquido è di “non cuocere il miele”.
Si può certamente riscaldarlo, anche a bagno maria, non superando i 35/40 gradi per alcuni minuti o più semplicemente tenendolo per qualche minuto fra le mani e rimescolandolo con un cucchiaio, o ponendolo per pochi minuti a contatto con una fonte di calore come un termosifone o vicino un camino.
In alternativa basta metterlo in freezer quando è ancora liquido, per bloccare la precipitazione dei cristalli.  

Conclusioni:
Miele liquido o cristallizzato?
Possiamo solo dire che la cristallizzazione è un processo naturale che non comporta assolutamente variazioni organolettiche del prodotto ma solo di aspetto, che ne garantisce la qualità, la genuinità e l’assoluta naturalezza, come garanzia di un prodotto non pastorizzato, sano come in natura si forma.
Impariamo a consumarlo cosi com’è.
Pensiamo anche al lato positivo del miele cristallizzato: il miele non cola e potete usarlo con più facilità.
Se un miele è di qualità non c’è differenza tra un miele liquido o un miele cristallizzato se non nell’aspetto. Sono entrambi ottimi.
Per concludere speriamo che queste poche righe relative alla cristallizzazione del miele possano essere state di aiuto nella scelta del miele durante il prossimo acquisto.

Arnia a Favo Caldo o a Favo Freddo? Guida completa alla scelta

di Giorgio Pagnacco

Arnia a Favo Caldo o a Favo Freddo?

Quando si parla di apicoltura, uno dei temi più discussi riguarda la disposizione dei favi all’interno dell’arnia: meglio il favo caldo o il favo freddo? La differenza può sembrare puramente geometrica, ma in realtà ha conseguenze importanti sul microclima interno, sull’organizzazione delle api e sul lavoro dell’apicoltore. In questo articolo analizziamo vantaggi, svantaggi e persino la possibilità di un sistema ibrido.


Cosa significa “favo caldo” e “favo freddo”?

  • Favo caldo: i telaini sono disposti parallelamente all’ingresso dell’arnia. Le api entrano dal lato lungo e accedono direttamente ai favi.
  • Favo freddo: i telaini sono disposti perpendicolarmente all’ingresso. Le api entrano dal lato corto e si muovono lungo i favi.

Questa semplice differenza influenza il flusso d’aria, la propolizzazione, la gestione della covata e l’interazione con l’apicoltore.

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Arnia a favo caldo: vantaggi e svantaggi

Vantaggi

  • Facilità di ispezione: l’apicoltore accede ai telaini senza disturbare tutta la colonia.
  • Protezione dal freddo: il flusso d’aria è ridotto, le correnti fredde entrano con più difficoltà.
  • Isolamento naturale: le api sigillano meglio eventuali fessure con la propoli, migliorando l’isolamento.

Svantaggi

  • Ventilazione ridotta: in estate aumenta il rischio di surriscaldamento e umidità.
  • Maggior consumo energetico: le api devono lavorare di più per regolare il microclima.
  • Minor adattabilità ai climi caldi: soffre in zone con estati molto torride.

Arnia a favo freddo: vantaggi e svantaggi

Vantaggi

  • Migliore ventilazione naturale: favorisce il ricambio d’aria e riduce l’umidità.
  • Ottima nei climi caldi: le api gestiscono meglio il raffrescamento estivo.
  • Distribuzione più uniforme: miele e covata seguono meglio il flusso d’aria naturale.

Svantaggi

  • Maggiore esposizione al freddo: in inverno le correnti penetrano più facilmente lungo i favi.
  • Ispezioni più invasive: per raggiungere i telaini centrali bisogna spostare i primi, disturbando la colonia.
  • Accumulo di propoli: le api possono sigillare eccessivamente, rendendo più difficile il lavoro.

Quando preferire una o l’altra configurazione?

  • Favo caldo: se vivi in aree con inverni rigidi o ventosi, se cerchi ispezioni rapide e poco invasive, se la protezione dal freddo è una priorità.
  • Favo freddo: se operi in zone calde e umide, se vuoi favorire la ventilazione naturale, se l’estate è il periodo più critico da gestire.

Il sistema ibrido: una soluzione possibile?

Alcuni apicoltori si chiedono: perché non usare il favo caldo in inverno e il favo freddo in estate?
Un sistema ibrido è teoricamente possibile, ma comporta sfide pratiche:

  • Vantaggi: sfrutta i punti di forza stagionali, ottimizzando isolamento in inverno e ventilazione in estate.
  • Svantaggi: disturbare la colonia con spostamenti stagionali dei telaini può disorientare le api e aumentare lo stress. Inoltre, la propolizzazione verrebbe rifatta ogni volta, con spreco di risorse.

Alcune soluzioni pratiche includono arnie modulari che permettono di ruotare il corpo senza spostare i telaini, oppure piccoli adattamenti stagionali (pannelli isolanti in inverno, aperture supplementari in estate).


Conclusione

Non esiste una scelta universalmente giusta tra favo caldo e favo freddo: la decisione dipende dal clima della tua zona, dalle caratteristiche della colonia e dal tuo stile di gestione.
Il vero segreto è conoscere bene i pro e i contro di entrambe le configurazioni e adattare l’arnia al contesto, con l’obiettivo sempre prioritario del benessere delle api.

La Produzione del Miele

LA SMIELATURA (parte 3)

di Mauro Puppo

“Filtraggio del miele destinato al maturatore”

Video del filtraggio del miele che dopo essere estratto per centrifugazione viene raccolto nel maturatore.

SCIAMATURA NATURALE E ARTIFICIALE

di Mauro Puppo

La sciamatura è uno dei fenomeni più appariscenti e tipici del mondo dell’ape e rappresenta l’unico mezzo naturale di diffusione della specie. Con la divisione della colonia, provocata dalla partenza della regina, di numerose api operaie e fuchi, si ha la riproduzione del cosiddetto superorganismo alveare.
E’ il momento che maggiormente affascina l’apicoltore. Poter osservare e rincorrere una nuvola d’api che esce dall’alveare non ha eguali.
Nell’apicoltura razionale la sciamatura viene considerate negativamente in quanto incide sulla produzione del miele, necessita di manodopera e potrebbe essere anche una perdita nel caso non si riesca a recuperare lo sciame.
Nell’alveare la preparazione alla sciamatura avviene con la costruzione da parte delle api di numerose celle reali dove la regina deporrà uova fecondate. Pochi giorni prima della sciamatura si verifica la cosiddetta “febbre sciamatoria” cioè ad un cambiamento dell’attività della famiglia: la regina cessa l’ovodeposizione e dimunuisce di peso (per volare meglio), le bottintrici cessano la raccolta di nutrimento, si raggruppano (barba) all’esterno dell’alveare pronte per la partenza dello sciame.
Il periodo principale della sciamatura va da aprile a tutto giugno, di norma lo sciame esce nelle ore più calde di una bella giornata di sole, alla partenza le operaie sciamanti si riempiono la borsa malaria di miele che dovrà servire per alimento della nuova colonia. Generalmente il primo sciame che esce dall’alveare (primario) è costituito da un elevato numero di api e dalla regina vecchia che abbandona l’alveare presumibilmente all’opercolatura delle prime celle reali
allevate che avviene 8/9 giorni dalla deposizione dell’uovo. Possono seguire altre sciamature, questa volta con un minore numero di api e regine vergini ( sciami secondari, terziari).
Lo sciame primario, normalmente, si posa a poca distanza dall’alveare ( 20/30m) l’appiglio può essere un ramo, un cespuglio un troco d’albero alcune volte anche a terra dove si tratterrà alcune ore o persino qualche giorno fino a che le api esploratrici non avranno trovato un sito idoneo a costruire il nuovo nido, a questo punto può intervenire l’apicoltore per il recupero.
Gli sciami secondari, invece, si possono posare a più distanza e può essere difficoltoso il loro recupero anche perché le regine vergini occupano malvolentieri un’arnia.
La sciamatura è influenzata da numerosi fattori, che possiamo riassumerli in:
Sovrappopolamento, carenza di spazio, scarsa aereazione, dimensione insufficiente della camera di covata, elevata presenza di covata pronta a sfarfallare, forte importazione di nettare, mancanza di sfogo per le ceraiole, età avanzata della regina ( quindi minore produzione di feromone reale), predisposizione ereditaria della regina a sciamare.
Conoscendo le cause bisogna agire di conseguenza per prevenire il fenomeno, purtroppo però non sempre tutti gli accorgimenti che mettiamo in atto sono sufficienti e tempestivi e qualche sciame si invola lo stesso a conferma che l’istinto naturale prevale su qualsiasi tecnica da noi
adottata.
Per accertarsi che le famiglie non sciamino, le medie/grandi aziende ricorrono a diverse tecniche, tra cui la sciamatura artificiale e la selezione genetica di regine poco propense alla sciamatura.
La sciamatura artificiale consiste nel simulare una sciamatura naturale però indotta dall’apicoltore.
Si riducono di conseguenza le famiglie più grandi, che, con l’avanzare della stagione calda avrebbero l’impulso naturale a sciamare prelevando telaini di covata, di miele ed api. Con
questi telaini si creano nuove famiglie.
Stabilire quanto lasciare grande la famiglia originaria in modo che arrivi al massimo sviluppo sul primo raccolto senza che vada in febbre sciamatoria, non è cosa facile. I fattori determinanti per lo sviluppo delle colonie sono l’ambiente e l’andamento stagionale; solo una profonda conoscenza degli apiari ed una buona osservazione possono aiutarci a fare la scelta giusta senza dover ricorrere ad ulteriori interventi di contenimento. Innanzitutto per produrre sciami è necessario che sia cominciata la stagione riproduttiva delle api.
Deve essere l’apicoltore a decidere, per ogni apiario, quanti telaini di covata e di scorte lasciare alle famiglie a seconda di quanto tempo manca al primo raccolto.
Tutti gli alveari devono essere controllati e pareggiati asportando o aggiungendo api e/o covata.
Una volta che tutte le famiglie sono sistemate, cioè hanno tutte la stessa forza, con la covata rimasta in più si producono i nuovi sciami, fornendogli telaini di scorte o nutrimento.
A loro il compito di allevare da sole una cella reale e portare la vergine a fecondazione, oppure all’apicoltore di fornire una nuova regina feconda. Le finalità della produzione di sciami possono essere molteplici: quella della vendita, l’aumento del patrimonio apistico aziendale, la sostituzione di
famiglie perse durante l’inverno. Per chi decide di fare produzioni precoci come l’acacia, sarà poca la covata disponibile da asportare per fare gli sciami perché le famiglie dovranno essere mantenute forti per l’imminente fioritura. Potrà asportare di più chi punta a produrre il millefiori e i mieli di Giugno/Luglio quali tiglio e Castagno, così la famiglia avrà il tempo di riprendersi dall’asportazione.
Se la produzione di miele non ci interessa possiamo periodicamente asportare covata e miele, 3-4 telaini per famiglia forte, ogni mese fino a fine Giugno/luglio, poi fare i trattamenti contro la Varroa.
Produrre uno sciame se questo non ha una fioritura su cui svilupparsi, non è una scelta saggia.
Difatti gli sciami prodotti in Aprile/Maggio si sviluppano e si riescono ad invernare come famiglia su dieci telaini, mentre, quelli tardivi di fine Luglio, bisognerà nutrirli col rischio di trovarci in autunno con famiglie poco sviluppate .
Le regole per la produzione degli sciami sono poche e variabili in base alla zona e al periodo di produzione; si possono comporre con due telaini di covata due di scorta e un foglio cero, con l’avanzare della stagione i telaini di covata andranno ad aumentare, fino a quattro/cinque in Luglio.
Questo rapporto dovrà variare se si ha intenzione di mandare lo sciame in produzione sul millefiori, in questo caso sarà bene creare il nuovo sciame con almeno quattro telaini di covata sin da Aprile Maggio.
Un’altra piccola regola è quella di calibrare la quantità di covata a seconda se lo sciame venga prodotto con una regina o una cella reale, chiaramente dovrà essere maggiore nel secondo caso.
E’ bene inoltre ricordare che gli sciami vanno spostati almeno di tre km per evitare che le api bottinatrici facciano ritorno al proprio alveare lasciando lo sciame con scarsità di api. Se si adoperano celle reali dopo sei ,sette giorni si può controllare la nascita della vergine e dopo altri 10/15 giorni l’avvenuta fecondazione di questa.
Quando si utilizzano le regine feconde, per essere sicuri che queste siano accettate dalle nuove colonie, bisogna aspettare circa 10/12 giorni prima di controllarle. Spesso risulta utile nelle prime settimane di vita della nuova colonia somministrare della nutrizione liquida per stimolare la crescita in una fase delicata.

Scopri i Benefici dell’Apiterapia: Guarigione dalla Natura

di: Giorgio Pagnacco

L’apiterapia è una pratica antica che sfrutta in particolare i prodotti dell’alveare, per promuovere la salute e il benessere. Questa forma di terapia ha radici profonde nella storia umana, risalendo a migliaia di anni fa, quando le persone hanno cominciato a sfruttare i benefici del miele, del polline, della propoli, della cera, della pappa reale e del veleno d’ape per trattare una vasta gamma di disturbi e malattie. L’apiterapia negli ultimi anni viene utilizzata anche in campo medico veterinario per curare patologie di animali domestici e in allevamenti che seguono il protocollo biologico.

Prodotti dell’Alveare Utilizzati in Apiterapia:

  1. Miele: Forse il più noto tra i prodotti dell’alveare, il miele è ricco di antiossidanti, enzimi e sostanze nutritive. Viene utilizzato in apiterapia per le sue proprietà antibatteriche, antinfiammatorie e cicatrizzanti. Il miele è spesso impiegato per trattare ferite, ustioni, infezioni della pelle e problemi gastrointestinali.
  2. Propoli: la propoli è una sostanza resinosa raccolta dalle api dalle gemme e dalle cortecce di alcune piante come pioppi, betulle, pini, abeti, ippocastani, salici, querce ed olmi. È ricca di flavonoidi, acidi fenolici e altri composti bioattivi con potenti proprietà antimicrobiche, antinfiammatorie e antiossidanti. In apiterapia, la propoli viene utilizzata per rafforzare il sistema immunitario, trattare infezioni respiratorie, curare ferite e supportare la salute dentale e del cavo orofaringeo.
  3. Polline d’Api: Il polline raccolto dalle api è un concentrato di sostanze nutritive essenziali, tra cui proteine, vitamine, minerali e antiossidanti. In apiterapia, i pollini d’api vengono utilizzati per combattere le allergie stagionali, migliorare l’energia e la vitalità, e supportare la salute cardiovascolare e del sistema immunitario.
  4. Cera d’Api: La cera d’api è una sostanza prodotta dalle ghiandole ceripare delle api operaie. È comunemente conosciuta per le sue proprietà idratanti, emollienti e protettive per la pelle. In apiterapia, la cera d’api viene utilizzata principalmente per la produzione di unguenti, creme e balsami per la cura della pelle. Grazie alle sue proprietà emollienti, la cera d’api aiuta a proteggere la pelle dalle aggressioni esterne, come il vento e il freddo, e a mantenere l’idratazione naturale della pelle. Inoltre, la cera d’api può essere impiegata per la produzione di candele utilizzate in aromaterapia, diffondendo un piacevole profumo nell’ambiente.
  5. Pappa Reale: La pappa reale è una sostanza secreta dalle ghiandole delle api operaie giovani ed è l’alimento principalmente esclusivo di tutte le larve fino al terzo giorno dalla schiusa dell’uovo e della regina dal primo giorno come larva al suo ultimo giorno di vita. È una ricca fonte di proteine, vitamine del gruppo B, aminoacidi e altri nutrienti essenziali. In apiterapia, la pappa reale è considerata un “superfood” per le sue potenziali proprietà benefiche per la salute umana. Viene utilizzata principalmente come integratore alimentare per migliorare l’energia, la vitalità e le funzioni cognitive. La pappa reale è stata associata anche a potenziali benefici per la salute della pelle, del sistema immunitario e della fertilità. Tuttavia, è importante consultare un professionista sanitario prima di utilizzare la pappa reale, specialmente per persone con allergie o condizioni mediche preesistenti.
  6. Veleno d’Ape: Sebbene possa sembrare impensabile, il veleno delle api, quando somministrato in piccole dosi controllate, può avere effetti benefici sulla salute. Il veleno d’ape contiene peptide, enzimi e altri composti bioattivi che hanno dimostrato proprietà antinfiammatorie, analgesiche e immunomodulanti. In apiterapia, il veleno d’ape viene utilizzato per trattare una varietà di condizioni, tra cui artrite, dolore cronico, disturbi autoimmuni e infiammazioni.

Conclusioni:

L’apiterapia offre un approccio naturale e olistico alla salute, sfruttando i potenti benefici dei prodotti dell’alveare. Tuttavia, è importante sottolineare che questa forma di terapia dovrebbe essere praticata da professionisti esperti e qualificati per garantire la sicurezza e l’efficacia del trattamento e non incorrere in effetti indesiderati dovuti ad intolleranze o allergie ai principi attivi contenuti nei vari prodotti usati. Con una comprensione adeguata dei prodotti dell’alveare e dei loro usi terapeutici, l’apiterapia può essere un prezioso aiuto e complemento alla salute e al benessere generale.